Se la chiami pasta, non la puoi produrre con la farina di insetti
«Sulla pasta si è pronunciata ben due volte anche la Corte Costituzionale, nel 1980 e nel 1997: l’utilizzo del termine è riservato a chi per produrla utilizza farina di semola di grano duro e acqua». La professoressa Eleonora Sirsi, grande esperta di Diritto agrario dell’Università di Pisa, è dunque molto sicura: in Italia un “pasta” in quanto tale, alla farina di insetti, non si può fare. Quanto meno, bisogna chiamarla con un altro nome. I consumatori possono dunque stare tranquilli, nessuno è pronto a ingannarli mettendo loro nel piatto uno spaghetto ai grilli o un maccherone alle larve. Anche perchè le regole di etichettatura in Italia – così come in Europa – sono molto ferree: ogni ingrediente utilizzato nell’impasto deve obbligatoriamente essere segnalato.
Proprio in questi giorni un colosso come Barilla si è affrettata a smentire ufficialmente la fake news, circolata sui social, secondo cui la multinazionale stessa sarebbe stata in procinto di lanciare sul mercato un nuovo prodotto a base di farina di insetti. A ruota, il neoministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida si è sentito in dovere di dire che «in questo Governo non ci sarà nessuno spazio per carne sintetica e farina di grilli. Il nostro obiettivo è difendere i cittadini dalle degenerazioni che vogliono far passare l’idea che basta nutrirsi, a prescindere da dove e come viene prodotto il cibo». La verità è che nè Barilla aveva bisogno di smentire quello che non poteva fare, né il ministro Lollobrigida poteva dichiarare guerra a qualcosa che non è nel potere dell’Italia decidere. Perché la pasta non può chiamarsi pasta se è fatta con gli insetti. E l’Unione europea ha già legalizzato in tutti i suoi Paesi membri l’utilizzo di alcuni insetti per l’alimentazione umana.
Più precisamente, è dal 2017 che la Commissione Ue ha autorizzato l’utilizzo delle proteine di insetti come mangimi per l’acquacoltura e per gli animali domestici. Dal 2021, invece, anche il consumo umano è stato sdoganato. Al momento l’Efsa – l’Autorità europea per la sicurezza alimentare – ha già dato l’ok all’uso in tavola dei grilli domestici (Acheta domesticus), della larva gialla della farina (Tenebrio molitor) e della Locusta migratoria, tanto che da quest’anno sono entrati in vigore i regolamenti applicativi per il loro utilizzo. «Alimenti prodotti con queste tre specifiche specie – spiega la professoressa Sirsi – possono dunque essere confezionati e venduti in qualsiasi Paese membro della Ue». Italia compresa, la quale non si può certo opporre alla libera circolazione di questi alimenti come di qualsiasi altra merce. E se nei supermercati italiani di farine agli insetti non se ne vedono ancora, qualcosa comincia a muoversi: a Schio per esempio, in provincia di Vicenza, la start-up Fucibo produce chips e biscotti a base di farine di insetti, che vende anche online attraverso il sito aziendale. Cento grammi dei suoi biscotti costano 4 euro (40 euro al kilo) e nella lista degli ingredienti la polvere di larva di Tenebrio molitor essiccata pesa solo per il 6% del prodotto: il grosso è fatto di farina di mais, zucchero, burro e uova.
Il vero business degli insetti, più che nel piatto, al momento è nelle mangiatoie. Ma è anche vero che in Europa ci sono Paesi che sui cosiddetti “novel food” stanno investendo parecchio: la Francia soprattutto, ma anche l’Olanda e il Belgio, dove i prodotti a base di insetto sono in vendita nei supermercati già da diverso tempo. Nel 2017 il mercato degli insetti per uso alimentare valeva 55 milioni di dollari, ma secondo le stime di Global Market Insights raggiungerà i 710 milioni di dollari nel 2024. In Europa, secondo l’Ipiff (International platform of insects for food and feed) ogni anno si producono già 6mila tonnellate di proteine di insetti, che diventeranno 3 milioni di tonnellate entro il 2030.
E i consumatori italiani, cosa ne pensano? Secondo un’analisi Coldiretti/Ixè il 54% è proprio contrario agli insetti a tavola, mentre il 24% è indifferente e il 16% è addirittura favorevole.